venerdì 1 febbraio 2019

TOBIA

Invocare
Signore, nella tua Parola, aiutami a cercare te, a desiderare, amare, trovare te. Non oso, Signore, penetrare nelle tue profondità: il mio intelletto è uno strumento poco adatto. Desidero soltanto comprendere parzialmente la tua verità meditando la tua Parola, perché il mio cuore la ama e vi crede.
Vieni, o Spirito Santo, dentro di me e aiutami a penetrare la Parola di Dio perché io sia capace di comprenderla, gustarla e praticarla ogni giorno della mia vita. Amen.

Leggere (Tb 12,1-15)
1Terminate le feste nuziali, Tobi chiamò suo figlio Tobia e gli disse: «Figlio mio, pensa a dare la ricompensa dovuta a colui che ti ha accompagnato e ad aggiungere qualcos'altro alla somma pattuita». 2Gli disse Tobia: «Padre, quanto dovrò dargli come compenso? Anche se gli dessi la metà dei beni che egli ha portato con me, non ci perderei nulla. 3Egli mi ha condotto sano e salvo, ha guarito mia moglie, ha portato con me il denaro, infine ha guarito anche te! Quanto ancora posso dargli come compenso?». 4Tobi rispose: «Figlio, è giusto che egli riceva la metà di tutti i beni che ha riportato». 5Fece dunque venire l'angelo e gli disse: «Prendi come tuo compenso la metà di tutti i beni che hai riportato e va' in pace». 6Allora Raffaele li chiamò tutti e due in disparte e disse loro: «Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto, e non esitate a ringraziarlo. 7È bene tenere nascosto il segreto del re, ma è motivo di onore manifestare e lodare le opere di Dio. Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male. 8È meglio la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l'ingiustizia. Meglio praticare l'elemosina che accumulare oro. 9L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita. 10Coloro che commettono il peccato e l'ingiustizia sono nemici di se stessi. 11Voglio dirvi tutta la verità, senza nulla nascondervi: vi ho già insegnato che è bene nascondere il segreto del re, mentre è motivo d'onore manifestare le opere di Dio. 12Ebbene, quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l'attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. 13Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a seppellire quel morto, allora io sono stato inviato per metterti alla prova. 14Ma, al tempo stesso, Dio mi ha inviato per guarire te e Sara, tua nuora. 15Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della gloria del Signore».

Ambientazione
Il libro di Tobia fu scritto nel II secolo a.C. e ci racconta vicende che risalgono al primo grande dramma che gli ebrei vissero dopo la divisione del regno di Davide e di Salomone: la deportazione delle tribù del nord ad opera degli Assiri. In esso troviamo una serie di racconti che suscitano interesse per entrare meglio nella vita del popolo ebraico. In un contesto drammatico evidenzia la fede, la famiglia, la preghiera.
Il protagonista (è sempre Dio) è un giovane, Tobia, figlio di un padre giusto e pio deportato dalla Galilea a Ninive sotto Salmanassar, di una madre operosa come l’ideale delle donne di Israele: una coppia che però, a causa delle vicissitudini avverse, ha un momento di scoraggiamento e di incomprensione (Tb 2,14-3,1) che sfocia in una supplica a Dio perché lo liberi o dia la morte.
Quando tutto sembra perduto, Tobia, figlio di Tobi e Anna, viene mandato dal padre a riscuotere un debito di 10 talenti d'argento da un certo Gabael e cercarsi una moglie tra la gente della sua tribù di orgine.
Trova un accompagnatore, un certo Azaria (il cui nome significa “JHWH ha aiutato”), che altri non è se non l’arcangelo Raffaele, inviato da Dio in risposta alla preghiera di Tobi. Affidandosi alla sua guida, Tobia si mette in viaggio. Incontra Sara di cui si innamora e la sposa, purtroppo anche lei nelle sue sofferenze. Recupera denaro e torna dal padre con un unguento ricavato dal pesce per curare la sua cecità.
Tobia è il giovane che accetta di mettersi in viaggio, di farsi accompagnare, di coinvolgersi nelle situazioni e, alla fine, di tornare e condividere con cuore grato. È il giovane che scopre che Dio ascolta, interviene e ci chiede di collaborare con fiducia alla Sua opera provvidente di salvezza. È il giovane che, nel cammino, verifica il senso del suo nome: Tobijah, cioè: “mio bene è JHWH”.

Meditare
Tobia nella sua quotidianità ha fatto del suo nome il programma di vita. Questo programma viene evidenziato dalle parole di Azaria/Raffaele che dicono: “Fate il bene, e il male non vi colpirà” (v. 7). Guardando, però, l'esperienza del vecchio Tobi, non appaiono veritiere. Come mai? 
L'esperienza biblica è esperienza del profondo, dell'interiore. Qui non si fa altro che dire che una vita condotta secondo la legge di Dio non potrà, alla fine, non essere ogni giorno sotto la sua protezione. La sofferenza, la prova, non è altro che un atto che purifica il cuore dell'uomo e ne fa crescere la fede. Ovviamente tutto questo non è risposta dogmatica al problema del dolore. Ognuno di noi, nella sofferenza e nel dolore può anche trovare una dimensione educativa: Dio purifica la fede dei credenti con il dolore e ne verifica l’integrità, e questo avviene spesso. 
La Bibbia è piena di esempi, in particolare quelli di cui il dolore e la sofferenza non possono essere visti solo come prova man­data da Dio all’uomo per renderlo migliore. Il cristiano trova nel mistero della croce l’unica risposta possibile al problema del dolore.
Ora che significa "fare il bene" di cui si parla nel versetto citato?
Per il credente significa affondare la propria vita sulla Parola di Dio e ubbidire alla sua legge. In altre parole, mettere al centro della propria vita tre atti che, anche nel Vangelo, sono considerati i cardini della vita di fede: la preghiera, l’elemosina e il digiuno che ritroviamo come risposta al v. 8 (cfr. Mt 6,1-18). 
La preghiera è il rapporto dell’uomo con Dio. L’elemosina è il rapporto dell’uomo con gli altri; essa ottiene tre effetti: la salvezza dalla morte, una vita lunga e serena, il perdono dei peccati (cfr. 1Pt 4,8); l’elemosina non è un esercizio fisico ma quella sincera apertura agli altri, vissuta nell'ottica della gratuità, che cambia prima di tutto la nostra esistenza. 
Il v. 7 stabilisce un parallelo antitetico tra “il segreto del re”, che deve essere tenuto nascosto, e le opere di Dio, che vanno fatte conoscere agli uomini. Siamo già sulla strada che porterà a riconoscere “i misteri del regno dei cieli” svelati agli uomini da Gesù (Mt 13,11), ov­vero il progetto di Dio sul mondo che i credenti sono invitati a scoprire e annunziare agli uomini.
La novella di Tobia ha come argomento la provvidenza di Dio per gli Israeliti nell'esilio. In primo piano ci sta l'esortazione alla preghiera e alle elemosine ricordando quanto dice in 4,16: "non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te". Ritroviamo questa regola aurea nel NT come direttiva di Gesù (cfr. Mt 7,12 e par.) ripreso dall'apostolo Giacomo come "perfetta letizia" (cfr. Gc 1,2-4).
In questo capitolo è ben chiara la presenza ange­lica. Essa vuol farci capire che l’angelo ha un ruolo di mediazione; non ha un’attività autonoma, ma è il segno, per l’uomo, di una presenza reale di Dio. Una presenza molto discreta, che si rivela poco alla volta fino al compimento.
Il v. 15 può rivelarsi come un incentivo a rivedere il nostro quotidiano spesso riempito di solitudine e amarezza. Un abisso di amarezza che non è stato risparmiato neppure a Gesù che, nell'ora della suprema offerta ha gridato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Sal 22; cfr. Mt 27,46; Mc 15,34). Un grido scandaloso sulle labbra del Figlio, un grido che solleva il velo su tante situazioni limite che anche noi ci troviamo a vivere ma che si apre alla gloria.
Infatti, l'esperienza di Tobia, accompagnato da Raffaele insegna a non fermarsi all'epidermide di ciò che viviamo, ma a leggere oltre, per scoprire le impronte di quel Dio che comunque non abbandona mai.
S. Agostino ricorda: "Se senti vacillare la tua fede per la violenza della tempesta, calmati: Dio ti guarda. Se ogni ora che passa cade nel nulla senza più ritornare, calmati: Dio rimane. Se il tuo cuore è agitato e in preda alla tristezza, calmati: Dio perdona. Se la morte ti spaventa e temi il mistero e l'ombra del sonno notturno, calmati: Dio risveglia".


Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
* Riesco a cogliere nella mia vita, che tutto può concorre al bene e testimoniarlo agli altri?
* Riesco a guardare oltre l'orizzonte per vivere meglio le situazioni della vita?
* Come vivo le dimensioni della preghiera, del digiuno, dell'elemosina?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Lampada per i miei passi è la tua Parola,
luce sul mio cammino.
Ho giurato, e lo confermo,
di osservare i tuoi giusti giudizi.

Sono tanto umiliato, Signore;
dammi vita secondo la tua Parola.
Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.

La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
I malvagi mi hanno teso un tranello,
ma io non ho deviato dai tuoi precetti.

Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
perché sono essi la gioia del mio cuore.
Ho piegato il mio cuore a compiere i tuoi decreti,
in eterno, senza fine. (Sal 119).

Contemplare-agire L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Nella mia pausa interiore, ricerco i motivi di gioia e di speranza come dono di Dio e condivisione con gli altri.


immagine: https://it.wikiquote.org/wiki/Libro_di_Tobia