mercoledì 20 novembre 2019

ELISABETTA (madre di Giovanni Battista)

Invocare
Vieni, vieni, o Santo Spirito! Venga l'unione del Padre, il compiacimento del Verbo, la gloria degli angeli! Tu sei, o Spirito di verità, premio dei santi, refrigerio delle anime, luce delle tenebre, ricchezza dei poveri, tesoro di quelli che amano, sazietà degli affamati, consolazione dei pellegrini; tu sei colui nel quale è contenuto ogni tesoro! (Santa Maria Maddalena de' Pazzi).

In ascolto della Parola (Leggere) (Lc 1,5-7)

[5]Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. [6]Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. [7]Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.

Per introdurci
C'era una famosa profezia di Mosè: "Il Signore, vostro Dio, farà sorgere un profeta come me e sarà uno del vostro popolo. A lui darete ascolto" (Dt 18,15). Questa è una profezia grandiosa che prometteva un nuovo Mosè, un capo carismatico per Israele, un nuovo liberatore del popolo che lo avrebbe guidato, in un secondo Esodo, verso la libertà da tutti i nemici. In una parola sarebbe stato un vero messia, mandato da Dio. Ed il desiderio di ogni donna ebrea era quello di essere la prescelta per dare la luce proprio a questo 'nuovo Mosè', sospirato, invocato e atteso nei secoli. 
Tutto questo anche al tempo di Elisabetta e Zaccaria: anche allora si invocava un nuovo e vero liberatore del popolo dai nemici oppressori che in quegli anni erano i Romani pagani.
Angoscia, interrogativi, speranza per il figlio che non arrivava e che ebbe non solo Elisabetta.
Il nostro brano ci permette di meditare su alcuni versetti, proprio per capire che nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37).

Riflettere sulla Parola (Meditare)
La Parola dice che nella nostra vita ci sta un tempo per ogni cosa (cfr. Qo 3,1-11): per tutte le cose c'è un tempo fissato da Dio in cui la Sua parola agisce. Nella nostra storia di tutti i giorni agisce in tanti modi, sia nel bene che nel male.
Anche in queste poche righe di Vangelo per la vita di una donna, Elisabetta, abbiamo un tempo particolare.
Chi è Elisabetta? Ella fa parte della discendenza di Aronne, quindi della classe sacerdotale ed era moglie di Zaccaria, sacerdote della "classe di Abia". Con lui era sposato da tanti anni ed ha vissuto la sua vita matrimoniale in piena angoscia per un bambino che avrebbe desiderato ma non poteva averne. 
Elisabetta (nome che significa "Dio è perfezione") è una santa importante anche perché quando recitiamo l'Ave Maria, usiamo alcune delle sue parole dette alla giovane Maria: "Tu sei benedetta fra tutte le donne, e benedetto il frutto del seno tuo" (Lc 1,41).
Nella storia della salvezza abbiamo anche altre illustri e importanti figure di donne che avevano sofferto per lo stesso motivo. Addirittura pensavano di essere state punite e dimenticate da Dio. Ricordiamo Abramo e Sara (Gn 21,1); Isacco e Rebecca (Gn 24,67); Giacobbe e Rachele (Gn 29,30). Anche nella vita di Anna e Elkana, che saranno poi i genitori del profeta Samuele (cfr. 1Sam 1,5) leggiamo la stessa cosa. 

Nonostante tutto questo Elisabetta era irreprensibile agli occhi del Signore, insieme a suo marito Zaccaria viveva alla sua presenza: "vivevano rettamente di fronte a Dio, e nessuno poteva dir niente contro di loro perché ubbidivano ai comandamenti e alle leggi del Signore", si affidavano alla volontà di Dio, e chiedendo la grazia con la preghiera continua e le lacrime davanti al Signore (cfr. 1Sam 2, 1-10). 
Gli anni passavano, il sogno non si avverava, la speranza c'era ma si riduceva ogni anno di più, perché la natura ha le sue leggi. E lo sapevano bene anche loro. Quanta angoscia per un figlio che non arrivava.


Elisabetta era sterile e avanti negli anni. Era stata dimenticata da Dio? Ma com'è possibile? Indegni di avere un figlio perché peccatori e per questo puniti da Dio? Perché proprio a noi? Quanti interrogativi, quante notti passate rimuginando queste domande che facevano sempre più male. Cercando, con sincerità, risposte razionali o di fede che dessero consolazione a lei e Zaccaria, e abbozzassero una qualche spiegazione. E tutto questo pensare, giorno e notte, sul non poter essere come tante donne ebree felici dei loro figli "dono di Dio" (Sal 125) all'interno di una popolo e di una cultura che valutava molto positivamente la fecondità familiare. 
La sterilità per la donna ebrea infatti era un vero problema, una 'vergogna', che poteva avere aspetti psicologici ed esistenziali spesso dirompenti per la propria autostima. Creava inoltre difficoltà per l'accettazione da parte degli altri in generale ma particolarmente dai parenti o dalla gente del villaggio.

La storia di Elisabetta e della sua tanto attesa maternità (insieme alle storie consimili di Sara, Rebecca, Rachele ed Anna) trova cuore ed orecchi attenti anche oggi. Non sono poche le donne in angoscia e preoccupazione per una maternità che non arriva, per un bambino tanto desiderato quanto apparentemente impossibile. Anche per questo Elisabetta è diventata patrona delle donne sterili o con difficili maternità e delle partorienti.

La Parola di Dio illumina la vita e la interpella
Come la Parola di Dio è entrata nella mia vita?
Vivo alla presenza del Signore?
Mi sono sentito rinascere dalla buona notizia del Vangelo?
Mi sento risollevato dalla mia vergogna (Elisabetta per la sua sterilità, io per il mio peccato...)?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
Il Signore si rivela a chi lo teme,
gli fa conoscere la sua alleanza. (Sal 24)










 

 

domenica 11 agosto 2019

IL DISCEPOLO AMATO

Invocare
O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere) (Gv 20,1-10)
1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. 10I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.

Riflettendo sulla Parola (Meditare)
Ci soffermiamo a meditare su un personaggio, biblico sì, ma pur con lo sforzo di un identikit nella persona dell'evangelista e apostolo Giovanni, rimane per tutti un personaggio anonimo.
Il Vangelo riporta una testimonianza particolare: Gesù ha una speciale predilezione per uno dei suoi discepoli, quello che la voce narrante dello stesso Vangelo chiama più volte «il discepolo che Gesù amava». Il brano messo alla meditazione nostra è coronato dall'evento Pasqua. Sarà la luce della Risurrezione del Signore Gesù ad individuare il nome del discepolo amato.
Siamo nel giorno della Resurrezione. Il brano raccoglie sorprese varie insieme ai personaggi che lo circondano. La prima è Maria di Magdala. Ella si reca al sepolcro di buon mattino. Gli altri evangelisti la descrivono come colei che in quel momento venera il defunto. Giovanni, tralascia questo particolare per collocare la donna nel contesto della ricerca, di corsa, di Gesù.
Nei gesti di Maria di Magdala che corre verso «la casa del discepolato» riferendo quanto ha visto, possiamo cogliere lo smarrimento di coloro a cui viene a mancare il rapporto con il Signore e la condizione da vivere nella chiesa (il plurale usato indica la chiesa). 
Maria sta condividendo un momento buio della sua fede. Coloro che vivono queste condizioni, devono sentire la necessità di condividere con la chiesa la vicenda della loro fede. Il plurale utilizzato incarna tutta la vicenda della chiesa dei poveri, di una chiesa che cammina al buio, che ha perso di vista il Signore, ma non ha perso di vista il legame con lui. La casa del discepolato non è la chiesa che si è alzata di buon mattino; è una chiesa animata dalla fede nel momento in cui prende atto della risurrezione, ma non è la chiesa dei poveri, che si incarna in Maria di Magdala.
C'è un discepolato che ci mette alla ricerca. Maria di Magdala scopre questo discepolato a partire da coloro che potevano aiutarla. 
Il primo è Simon Pietro, il secondo è un discepolo amato da Gesù, cioè quel discepolo che con Gesù aveva instaurato una relazione di amicizia. Questo discepolo rimane nell'anonimato.
La vicenda del discepolo amato, nel Vangelo di Giovanni, è racchiusa negli eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù. Durante l’ultima cena egli poggia il suo capo sul petto di Gesù (13,23-26), in una posizione di intima familiarità  - simile a quella di Gesù col Padre che è detto essere «nel seno del Padre» all’inizio dello stesso vangelo 1,18 - ed è a lui che Gesù rivela l’identità di colui che lo avrebbe presto tradito.
Lo ritroviamo con lo stesso appellativo ai piedi della croce al momento della morte di Gesù - e si suppone l’unico dei discepoli dato che tutti gli altri «lo abbandonarono e fuggirono» (Mt 26,56; Mc 14,50). 
A lui Gesù affida la Madre e al contempo viene lui stesso affidato alla Madre (19,26-27). In seguito, come viene descritto nel nostro brano in questione, al mattino di Pasqua assieme a Pietro il «discepolo che Gesù amava» corre al sepolcro a verificare l’annuncio ricevuto da Maria Maddalena: «si chinò vide e credette» (20,2-8). E ancora, sul lago di Tiberiade, quando Gesù appare nel primo mattino sulla riva ai discepoli che erano usciti in barca a pescare è il «discepolo che Gesù amava» che si accorge per primo che quell’uomo sulla riva «è il Signore» indicandolo a tutti gli altri (21,7).
Prima di chiudere il testo evangelico, abbiamo ancora una citazione sul discepolo amato. Forse può apparire curiosa, ma ci permette di identificarci in lui, ci permettere di riflettere sul senso personale della vocazione.
Siamo al cap. 21 del Vangelo di Giovanni, Pietro aveva appena ricevuto solennemente l’incarico di pascere il gregge di Gesù (21,15.16.17) ma sembra preoccupato - impropriamente - della sorte del discepolo amato. Gesù usa parole misteriose per indicare il tipo di rapporto di quel discepolo con Lui e il suo destino, invitando Pietro semplicemente a «seguire». Pietro disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?» (21,20-23). 
Qui possiamo cogliere l'indicazione di Gesù sul discepolo amato. Egli è colui che ha ricevuto una predilezione particolare per entrare, in una maniera diversa, nel mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo.
È una predilezione particolare. Non tutti possono comprenderla, solo chi ama, solo l'amore può comprendere, solo l'amore può riconoscere, solo l'amore rimane.
Il discepolo amato è colui che si lascia amare da Gesù e in questo modo gli è permesso di penetrare il mistero d’amore del Padre in Gesù, di coglierlo, di farlo suo e di testimoniarlo.
Il discepolo amato rimane anonimo. Infatti, possiamo vedere che anche Pietro è pieno d'amore. Ogni discepolo pieno d'amore, ogni discepolo è amato da Gesù perché è l’unico modo per entrare e rimanere nel suo mistero, per conoscerlo, per riconoscerlo, per testimoniarlo. 
L'amore non ha confini, possiede quella paziente attesa per l'incontro finale (cfr. 21,21), nel frattempo continua la sequela (cfr. 21,22). Senza tutto questo la Chiesa sarebbe solo una istituzione umana con grande dottrina, opere, socialità, ma arida, perché senza amore. E questo ovviamente non è di uno solo, ma di tutti quelli che raccolgono la sfida di amore di Gesù.
Ognuno di noi può continuare a fare la sua corsa, come Maria di Magdala, verso la casa del discepolato per scoprire il vero cuore pulsante della vicenda cristiana nella storia: la predilezione amorosa del Signore Gesù che fa diventare i suoi discepoli che l’accolgono, ognuno e tutti possibilmente, Discepoli Amati.

La Parola illumina la vita e la interpella
1. Nel presente della mia vita mi sento amato/a? Cerco di cogliere e di ricordare i segni dell’amore di Dio per me? Oppure rischio di chiudermi nei miei stati d’animo, nelle paure e sulla difensiva?
2. Il discepolo amato è pieno d'amore perché fa esperienza d'amore. Anch’io faccio quest'esperienza d'amore nell'offrire me stesso/a, il mio sostegno, la mia attenzione, la mia presenza, anche quando potrebbe comportare incertezza e fatica?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Per sempre, o Signore,
la tua parola è stabile nei cieli.
La tua fedeltà di generazione in generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.

Per i tuoi giudizi tutto è stabile fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
Se la tua legge non fosse la mia delizia,
davvero morirei nella mia miseria.

Mai dimenticherò i tuoi precetti,
perché con essi tu mi fai vivere.
Io sono tuo: salvami,
perché ho ricercato i tuoi precetti.

I malvagi sperano di rovinarmi;
io presto attenzione ai tuoi insegnamenti.
Di ogni cosa perfetta ho visto il confine:
l’ampiezza dei tuoi comandi è infinita.

Quanto amo la tua legge!
La medito tutto il giorno.
Il tuo comando mi fa più saggio dei miei nemici,
perché esso è sempre con me.

Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
Ho più intelligenza degli anziani,
perché custodisco i tuoi precetti.

Tengo lontani i miei piedi da ogni cattivo sentiero,
per osservare la tua parola.
Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu a istruirmi.
Quanto sono dolci al mio palato le tue promesse,
più del miele per la mia bocca.
I tuoi precetti mi danno intelligenza,
perciò odio ogni falso sentiero. (Sal 119).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Discerno la presenza di Gesù e assecondo l’azione dello Spirito in me e negli altri, vivendo il tempo, lo spazio come dono per la preghiera, la riflessione, l'amore all'altro.



giovedì 1 agosto 2019

PAOLO

Invocare
O Spirito di verità, che parlasti per bocca dei patriarchi e dei profeti, e riempisti le Sacre Scritture di celesti dottrine, di salutari precetti e di paterni ammonimenti, ora che lo spirito di menzogna e di stoltezza regna sopra la terra, degnati di ritornare a parlarci per bocca dei tuoi santi e dei tuoi ministri, affinché la verità torni a regnare nel cuore dell'uomo. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere) (At 9,1-18)
Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.  E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo  e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ”.  Rispose: “Chi sei, o Signore? ”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!  Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”.  Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno.  Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.  Ora c’era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: “Anania! ”. Rispose: “Eccomi, Signore! ”. E il Signore a lui: “Su, và sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando,  e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista”. Rispose Anania:“Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha san Paolo l’autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome”.  Ma il Signore disse: “Và, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”.  Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”.  E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato,  poi prese cibo e le forze gli ritornarono.

Riflettendo sulla Parola (Meditare)
Il brano parla della vocazione di Saulo di Tarso, divenuto poi per tutti noi Paolo. Più volte egli parla di se stesso ma possiamo cogliere fin da adesso ciò che lui diceva della vocazione: la vita è un tesoro custodito in vasi di creta (2Cor 4,7).
Saulo nacque a Tarso (verso il 10 d.C.), una cittadina nell'attuale Turchia. Era della tribù di Beniamino e fariseo zelante. Cittadino romano, fabbricatore di tende e cresciuto a Gerusalemme sotto la guida di Gamaliele. Un credente in Dio ma a modo suo, finché non si è incontrato con Cristo Gesù scoprendo di avere occhi e cuore nuovo per testimoniare Cristo.
Durante il suo primo viaggio missionario assunse un nome più latino: Paolo. Per Paolo il Vangelo non era uno scritto, ma una persona viva: Gesù di Nazareth, il quale gli starà sempre davanti agli occhi e al cuore.
Il brano posto alla nostra riflessione racchiude la vocazione di Saulo. Gli Atti riportano per tre volte questo racconto: la prima volta nel contesto della narrazione (At 9,1-9), la seconda, così come questa terza, dalla bocca di Paolo (At 22,6-11); in tutte e tre le ricorrenze troviamo la chiamata espressa in ebraico. Non è un caso. È chiaramente un’indicazione. L’indicazione che quella voce fece appello al suo “io” più vero e profondo.
La vocazione di Saulo inizia in un contesto di persecuzione. Egli stesso, credente in Dio, perseguita i Cristiani, la chiesa nascente di Cristo Gesù. Perseguita Gesù. Egli era talmente abbagliato da una sorta di odio verso i cristiani che fece di tutto per sconfiggerli. Fece, però, male i suoi conti. Egli non andava contro i cristiani, contro gli uomini, ma contro Colui che tutto può.
Ma ciò che lo ha cambiato si innesta proprio in quel suo “furore” giovanile che traboccava.
Sulla strada per Damasco, a mezzogiorno. Una luce che splendette più del sole mentre è al massimo dell’irradiazione come è a mezzogiorno.
Questa luce avvolge anche i compagni di viaggio. Tutti caddero a terra, ma solo Saulo sentì una voce. Quella voce toccava il cuore perché era in lingua natia, la lingua dei padri. È in questa paternità che Saulo riscopre, poco alla volta, con insistenza, la sua identità. Vengono celati gli occhi, come quando li chiudiamo per entrare in preghiera profonda, fino a quando non ci sarà il vero incontro, il vero ascolto, il rinnovo nella mente e nel cuore. È la luce del Cristo Risorto che abbaglia e rinnova la vita di Saulo, trasforma il suo pensiero rendendolo cieco per riaprirli al battesimo e vedere con occhi nuovi.
Saulo vive un capovolgimento di prospettiva. In questo capovolgimento inizia a considerare il suo vissuto,  tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, quasi la ragion d’essere della sua esistenza, come dirà ai Filippesi, una “perdita” e una “spazzatura”  (cfr. Fil 3,7-8).
La sua esperienza è esperienza pasquale che vivrà con gli altri apostoli, cioè insieme alla Chiesa, in comunione con essa. Solo in questa comunione con tutti egli potrà essere un vero apostolo, come scrive esplicitamente nella prima Lettera ai Corinti: “Sia io che loro così predichiamo e così avete creduto” (15, 11). C’è solo un annuncio del Risorto, perché Cristo è uno solo.
Saulo diventa cristiano perché ha incontrato Cristo e sarà testimone della sua risurrezione, andando tra i pagani e il mondo greco-romano ad annunciare il Vangelo perché il Risorto lo ha costituito “ministro e testimone”, fin da quel primo incontro, per portare a tutti l’annuncio pasquale, del perdono dei peccati, dell’eredità di vita eterna.
L'esperienza di Saulo, oggi Paolo, appartiene a ciascuno di noi. La vita di Paolo fu una continua fedeltà a quell'incontro e una continua missione
Il giovane chiamato Saul ha ascoltato. E tutta la sua vita fu fedeltà continua a quell’incontro, in un continuo cammino di missione.
Anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Bibbia, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa, etc.. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. 
Allora l’esperienza di Damasco si rinnova quotidianamente e sarà sempre gratuita e sorprendente  come un dono carico del “mistero” della presenza di Gesù Risorto. 

La Parola illumina la vita e la interpella
1. La Pasqua ci invita a tornare al cuore della nostra fede: Dio ha donato il Suo Unigenito Figlio perché, col dono della Sua vita sulla croce, ci facesse partecipi della Sua Resurrezione. Questo è veramente il cuore della mia fede di cristiano/a? Come cerco di entrare con la mia vita nel mistero pasquale?
2. Paolo ha iniziato il suo cammino di vita dalla parte sbagliata. Però ha saputo ascoltare. E da lì è partita la sua conversione e la sua vocazione. So anch’io ascoltare per riconoscere ciò che devo adeguare al Vangelo riguardo a ciò che penso e che faccio?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Meravigliosi sono i tuoi insegnamenti:
per questo li custodisco.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona saggezza ai semplici.

Apro anelante la mia bocca,
perché ho sete dei tuoi comandi.
Volgiti a me e abbi pietà,
con il giudizio che riservi a chi ama il tuo nome.

Rendi saldi i miei passi secondo la tua promessa
e non permettere che mi domini alcun male.
Riscattami dall’oppressione dell’uomo
e osserverò i tuoi precetti.

Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.
Torrenti di lacrime scorrono dai miei occhi,
perché non si osserva la tua legge. (Sal 119).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Rinnovo l'ascolto della Parola, incarnando la misericordia di Gesù, abbassando il mio livello di suscettibilità, cambiando i miei modi di fare, di pensare e chiedendo perdono. Curando le relazioni con chi mi sta attorno, ma anche purificando i miei pensieri per un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo.



immagine: http://cinquepassi.org

domenica 24 marzo 2019

GESU' ADOLESCENTE

Invocare
Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno. 
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere (Lc 2,32-52)

39 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. 40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
41 I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.42 Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; 43 ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.44 Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. 47 E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48 Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49 Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».50 Ma essi non compresero le sue parole.
51 Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. 52 E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Capire

Penso che per un momento possiamo mettere da parte questo brano, non per escluderlo ma per poterci entrare in una forma diversa.
Quando siamo davanti a una pagina evangelica o biblica, bisogna mettersi nei panni di scrive quella pagina cercando di capire il contesto storico del tempo e il messaggio. Ma non solo, occorre essere dei "esegeti" per chiedersi: questo testo riguarda anche me? la mia vita? e in che modo? Credo che sono punti basilari per potersi mettere in cammino e accostarsi alla Parola per eccellenza: Gesù.
Chi è Gesù? Una domanda che diverse volte è venuta fuori nei vangeli. Una volta Gesù lo ha detto direttamente a tutti noi (cfr. Mc 8,27-33).
Qui abbiamo un Gesù adolescente. Anche qui, secondo l'esempio dei nostri anziani diremo: di chi sei figlio? Pilato ebbe a dire a Gesù: "Di dove sei tu?" (Gv 19,9). Noi lo sappiamo già e sappiamo pure che in Lui abbiamo assunto quella figliolanza divina. Però questa figliolanza, rispecchia nella mia vita di battezzato? di consacrato?
Guardando il testo, osserviamo che fa parte della descrizione più ampia della nascita di Gesù (Lc 2,1-7) e della visita dei pastori (Lc 2,8-21). L’angelo aveva annunciato la nascita del Salvatore, dando un segnale per riconoscerlo: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia!”. Loro aspettavano il Salvatore di tutto un popolo e dovranno riconoscerlo in un bambino appena nato, povero, che giace accanto a due animali! Grande sorpresa! 
Il piano di Dio avviene in modo inaspettato, pieno di sorprese. Questo succede anche oggi. Un bambino povero sarà il Salvatore del popolo! Tu lo puoi credere?
Questa lectio si sofferma sull'adolescenza di Gesù. Forse potremmo cogliere qualcosa per i più grandi.

Meditare

Luca conclude il vangelo dell’infanzia con questo racconto, pieno di contrasti, che apre a tutto il cammino di Gesù verso Gerusalemme, verso la passione, morte e risurrezione e che è rivelazione della novità di Gesù, compimento delle promesse antiche, vera sapienza di Dio.
Siamo a Nazareth, luogo della rivelazione del Dio incarnato, qui Gesù impara la vita di tutti i giorni vivendo in mezzo al suo popolo.
L'evangelista ci dice che ogni anno "andavano a Gerusalemme". Sembra un cammino di prova che si ripete. Luca questo cammino ce lo presenta con un Gesù grandetto, adolescente. Egli è il "figlio del comandamento", aveva compiuto 13 anni (12 per le ragazze) e poteva celebrare il "bar mitzvah" in quanto adulto nella fede, un vero ascoltatore della Parola. Obbligato a seguire i comandamenti e ritenuto persona moralmente responsabile delle proprie azioni. Inoltre può guidare le liturgie e leggere la Torah.
Attenzione a questo andare a Gerusalemme pone in atteggiamento di cammino. La vita è un continuo peregrinare verso Dio per essere illuminati dal suo amore ed essere nella vita un riflesso della Sua bontà. 
Nella famiglia di Nararet vi era questa dimensione religiosa.
Però, come in tutte le famiglie, qualcosa di inaspettato sopraggiunge: l'adolescente Gesù, rimase a Gerusalemme. Questo verbo ci richiama a quel rimanere che si ripete più volte nei vangeli e in tutto il NT (e anche nell'AT) che non sempre viene accolto, come per i discepoli di Emmaus che tornano alle loro case, alla loro vita perché non hanno fatto l'incontro con Dio, con la sua risurrezione ma con se stessi.
Rimanere a Gerusalemme è un restare obbediente alla Parola. Chi non rimane a Gerusalemme fa ritorno a casa ma porta il suo cuore lontano lasciando l'essenziale.
È faticoso capire questo particolare (cfr. lo sposo del Cantico dei Cantici), passano tre giorni, l'arco di tempo dicono gli esperti, che va dalla morte alla risurrezione, tre giorni per vivere l'incontro. È un cercare senza trovare. Non trovare è una esperienza molto comune fra le persone che conosciamo, di parrocchia e soprattutto non! Soprattutto davanti ai drammi del mondo, non si trova Dio. Si dice: «Dio non c’è!».
Gesù Parola vivente però non è da cercare tra i parenti carnali (ai quali è nascosto il mistero del regno: Lc 10,21) ma tra i parenti spirituali (cfr. Lc 8,21).
Gesù insegna a tornare al punto di partenza che è anche il punto di arrivo: Gerusalemme. Ciò significa cambiare mentalità, cambiare cammino, convertirsi al cammino di Gesù, alla sua Pasqua.
Solo alla luce di tutto questo si incontrerà Gesù. Egli è nel tempio perché Lui è il nuovo Tempio: il Maestro risorto, seduto ad interrogare e rispondere sulla Parola di Dio dell’AT. 
La sua sapienza/intelligenza (cf. 39 e 52) stupisce tutti (come rimasero fuori di sè i discepoli all’annuncio delle donne: 24,22): è la sapienza dell’amore crocifisso, assurda per gli uomini… non è sapiente un ragazzo che si perde… ma qui Gesù sembra voglia dare una dimostrazione ai professoroni del tempo. Pare voglia dare loro una lezione di una sapienza anormale: doveva essere veramente eccezionale per essere ascoltato dai maestri al tempio. Quasi una ‘violenza’ nei loro confronti.
Stare senza Gesù, insegna la famiglia di Nazareth sono giorni di sofferenza, buio. Dalle parole della madre possiamo percepirlo: Figlio, perché ci hai fatto questo? 
Il mistero di Gesù irrompe nella vita umana, nella vita dei suoi famigliari. In Maria, umanissima, dice la meraviglia sua e di Giuseppe, la ricerca, l’angoscia di tutti e la spada del dolore diventa percettibile (cfr. Lc 2,35). Avvicinarsi a Gesù, anche da adolescente, è un avvicinarsi alla sua Passione.
Essere fuori dal "sinodo di quanti ascoltano la Parola" ci fa scontrare con la stessa Parola. Perchè mi cercavate? Non sapevate che nelle cose del Padre mio bisogna che io sia? 
Gesù fin dalla sua adolescenza cita sempre il Padre. Questo suo citare è uno svelare il mistero trinitario, quello stesso mistero che risponde a quella domanda: "Di dove sei tu?" (Gv 19,9).
C'è una necessità, quel "bisognaè un verbo importantissimo, sempre usato da Gesù in riferimento alla Pasqua (Lc 9,22;13,33;17,25;19,5;22,37;24,7.26.44): fa riferimento ad una necessità interiore che il Signore vive, a una urgenza infinita di amare, a una sapienza nuova e stringente, quella di servire fino a  dare la vita.
Il "bisogna" riprende quel riprendere il cammino, quel tornare a Gerusalemme per trovare Dio. Gesù stesso si fa strada fin dalla sua adolescenza (cfr. Gv 14,6). È Lui che ci porta a Dio, svelato come un Padre. Se non si passa per Gesù non si riesce a capire chi è Dio Padre, e che Dio Padre c’è nella nostra vita! La nostra conoscenza è ancora superficiale e approssimativa, ma siamo sulla strada giusta, che è Gesù. È quanto ci fa intendere la parte finale di questa pericope: "non compresero". Non comprendere non è un arrendersi a se stessi ma alla Parola, a Gesù. Giuseppe e Maria "si sono arresi" a Gesù adolescente per comprendere meglio la ricerca di Dio in un continuo ascolto di Lui.
Dalla sua adolescenza Gesù ci dice che la santità consiste nell'essere discepoli aperti e obbedienti e Maria, sua madre, è maestra nel custodire nel cuore gli avvenimenti del Figlio.
Gesù vive sottomesso. È l'umiltà del Figlio di Dio. I giovani di oggi fanno fatica a vivere la dimensione della sottomissione. Il compito dei genitori è quello di aiutarli a crescere anche alla luce della Parola di Dio, a riconoscere in ogni evento la possibilità di mettersi davanti alla presenza di Dio, trovando risposta giusta alle loro domande. Inoltre bisogna ricordare, che in quel crescere ci siamo ognuno di noi con la propria stagione di vita, perché ogni giorno chiamati, sull'esempio di Gesù a crescere in età, sapienza e grazia. «La Scrittura ci parla di due generi di età: l`età fisica che non è in nostro potere, ma dipende dalla legge della natura; e l`età spirituale che è veramente in nostro potere e nella quale, se lo vogliamo, possiamo crescere ogni giorno. Crescere e pervenire fino alla perfezione di essa: "Tanto da non essere piú dei piccoli fanciulli fluttuanti in balia di ogni vento di dottrina" (Ef 4,14); ma, cessando di essere fanciulli, cominciare a divenire uomini e poter dire: "Divenuto uomo, ho fatto scomparire le cose che appartenevano all`infanzia" (1Cor 13,11)» (Origene).
Gesù con l’età sviluppa il suo corpo e lo rende idoneo per la Croce. Con la sapienza alimenta il suo spirito e lo prepara alla missione di salvezza. Con la grazia rende viva e forte l’anima, in modo che essa possa governare sempre lo spirito nella volontà del suo Dio e Signore. Valori umani e di fede che ritroveremo in Gesù dall'inizio del suo ministero. Egli assimilò e interiorizzò in modo originale e profetico i valori che gli erano stati trasmessi, A sua volta poi li trasmise nel suo annuncio del Regno di Dio, in parole e opere, assumendo sempre uno stile ospitale e accogliente, e continuando sempre a stare in ascolto della Parola del Padre, in ascolto di tutti senza smettere di imparare dalla vita (Eb 5,8) e di coltivare passioni gioiose (Lc 12,49).


Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Quale rapporto con la Parola? Quello carnale o quello spirituale?
▪  Mi metto in cammino per cercare Dio?
▪  Gesù è in mezzo ai sapienti, agisce con umiltà e sapienza, è capace di ascoltare. Come mi pongo io dinanzi alle domande della vita?
▪  Sono capace di farmi compagno dei giovani, aiutandoli, difendendoli dalla società che li circonda?
▪  Stare sottomesso è vivere in umiltà. Vivo questa dimensione spirituale della mia vita? 
▪  Cresco anche io in età, sapienza e grazia per essere idoneo alla Croce?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
Con giustizia hai promulgato i tuoi insegnamenti
e con grande fedeltà.
Uno zelo ardente mi consuma,
perché i miei avversari dimenticano le tue parole.
Limpida e pura è la tua promessa
e il tuo servo la ama.
Io sono piccolo e disprezzato:
non dimentico i tuoi precetti.
La tua giustizia è giustizia eterna
e la tua legge è verità.
Angoscia e affanno mi hanno colto:
i tuoi comandi sono la mia delizia.
Giustizia eterna sono i tuoi insegnamenti:
fammi comprendere e avrò la vita.
Invoco con tutto il cuore: Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi decreti.
Io t’invoco: salvami
e osserverò i tuoi insegnamenti.
Precedo l’aurora e grido aiuto,
spero nelle tue parole.
I miei occhi precedono il mattino,
per meditare sulla tua promessa.
Ascolta la mia voce, secondo il tuo amore;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
Si avvicinano quelli che seguono il male:
sono lontani dalla tua legge.
Tu, Signore, sei vicino;
tutti i tuoi comandi sono verità.
Da tempo lo so: i tuoi insegnamenti
li hai stabiliti per sempre. (Sal 119 (118), 137-152).


Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Contempla il Mistero di Gesù che patisce, muore e risorge per noi, permettendo all'azione dello Spirito Santo di “ringiovanire” il cuore, uscendo dalle pesantezze delle preoccupazioni eccessive, dei propri progetti intoccabili, delle rivendicazioni, delle rivalse, dei rancori.



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venerdì 1 febbraio 2019

TOBIA

Invocare
Signore, nella tua Parola, aiutami a cercare te, a desiderare, amare, trovare te. Non oso, Signore, penetrare nelle tue profondità: il mio intelletto è uno strumento poco adatto. Desidero soltanto comprendere parzialmente la tua verità meditando la tua Parola, perché il mio cuore la ama e vi crede.
Vieni, o Spirito Santo, dentro di me e aiutami a penetrare la Parola di Dio perché io sia capace di comprenderla, gustarla e praticarla ogni giorno della mia vita. Amen.

Leggere (Tb 12,1-15)
1Terminate le feste nuziali, Tobi chiamò suo figlio Tobia e gli disse: «Figlio mio, pensa a dare la ricompensa dovuta a colui che ti ha accompagnato e ad aggiungere qualcos'altro alla somma pattuita». 2Gli disse Tobia: «Padre, quanto dovrò dargli come compenso? Anche se gli dessi la metà dei beni che egli ha portato con me, non ci perderei nulla. 3Egli mi ha condotto sano e salvo, ha guarito mia moglie, ha portato con me il denaro, infine ha guarito anche te! Quanto ancora posso dargli come compenso?». 4Tobi rispose: «Figlio, è giusto che egli riceva la metà di tutti i beni che ha riportato». 5Fece dunque venire l'angelo e gli disse: «Prendi come tuo compenso la metà di tutti i beni che hai riportato e va' in pace». 6Allora Raffaele li chiamò tutti e due in disparte e disse loro: «Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto, e non esitate a ringraziarlo. 7È bene tenere nascosto il segreto del re, ma è motivo di onore manifestare e lodare le opere di Dio. Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male. 8È meglio la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l'ingiustizia. Meglio praticare l'elemosina che accumulare oro. 9L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita. 10Coloro che commettono il peccato e l'ingiustizia sono nemici di se stessi. 11Voglio dirvi tutta la verità, senza nulla nascondervi: vi ho già insegnato che è bene nascondere il segreto del re, mentre è motivo d'onore manifestare le opere di Dio. 12Ebbene, quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l'attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. 13Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a seppellire quel morto, allora io sono stato inviato per metterti alla prova. 14Ma, al tempo stesso, Dio mi ha inviato per guarire te e Sara, tua nuora. 15Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della gloria del Signore».

Ambientazione
Il libro di Tobia fu scritto nel II secolo a.C. e ci racconta vicende che risalgono al primo grande dramma che gli ebrei vissero dopo la divisione del regno di Davide e di Salomone: la deportazione delle tribù del nord ad opera degli Assiri. In esso troviamo una serie di racconti che suscitano interesse per entrare meglio nella vita del popolo ebraico. In un contesto drammatico evidenzia la fede, la famiglia, la preghiera.
Il protagonista (è sempre Dio) è un giovane, Tobia, figlio di un padre giusto e pio deportato dalla Galilea a Ninive sotto Salmanassar, di una madre operosa come l’ideale delle donne di Israele: una coppia che però, a causa delle vicissitudini avverse, ha un momento di scoraggiamento e di incomprensione (Tb 2,14-3,1) che sfocia in una supplica a Dio perché lo liberi o dia la morte.
Quando tutto sembra perduto, Tobia, figlio di Tobi e Anna, viene mandato dal padre a riscuotere un debito di 10 talenti d'argento da un certo Gabael e cercarsi una moglie tra la gente della sua tribù di orgine.
Trova un accompagnatore, un certo Azaria (il cui nome significa “JHWH ha aiutato”), che altri non è se non l’arcangelo Raffaele, inviato da Dio in risposta alla preghiera di Tobi. Affidandosi alla sua guida, Tobia si mette in viaggio. Incontra Sara di cui si innamora e la sposa, purtroppo anche lei nelle sue sofferenze. Recupera denaro e torna dal padre con un unguento ricavato dal pesce per curare la sua cecità.
Tobia è il giovane che accetta di mettersi in viaggio, di farsi accompagnare, di coinvolgersi nelle situazioni e, alla fine, di tornare e condividere con cuore grato. È il giovane che scopre che Dio ascolta, interviene e ci chiede di collaborare con fiducia alla Sua opera provvidente di salvezza. È il giovane che, nel cammino, verifica il senso del suo nome: Tobijah, cioè: “mio bene è JHWH”.

Meditare
Tobia nella sua quotidianità ha fatto del suo nome il programma di vita. Questo programma viene evidenziato dalle parole di Azaria/Raffaele che dicono: “Fate il bene, e il male non vi colpirà” (v. 7). Guardando, però, l'esperienza del vecchio Tobi, non appaiono veritiere. Come mai? 
L'esperienza biblica è esperienza del profondo, dell'interiore. Qui non si fa altro che dire che una vita condotta secondo la legge di Dio non potrà, alla fine, non essere ogni giorno sotto la sua protezione. La sofferenza, la prova, non è altro che un atto che purifica il cuore dell'uomo e ne fa crescere la fede. Ovviamente tutto questo non è risposta dogmatica al problema del dolore. Ognuno di noi, nella sofferenza e nel dolore può anche trovare una dimensione educativa: Dio purifica la fede dei credenti con il dolore e ne verifica l’integrità, e questo avviene spesso. 
La Bibbia è piena di esempi, in particolare quelli di cui il dolore e la sofferenza non possono essere visti solo come prova man­data da Dio all’uomo per renderlo migliore. Il cristiano trova nel mistero della croce l’unica risposta possibile al problema del dolore.
Ora che significa "fare il bene" di cui si parla nel versetto citato?
Per il credente significa affondare la propria vita sulla Parola di Dio e ubbidire alla sua legge. In altre parole, mettere al centro della propria vita tre atti che, anche nel Vangelo, sono considerati i cardini della vita di fede: la preghiera, l’elemosina e il digiuno che ritroviamo come risposta al v. 8 (cfr. Mt 6,1-18). 
La preghiera è il rapporto dell’uomo con Dio. L’elemosina è il rapporto dell’uomo con gli altri; essa ottiene tre effetti: la salvezza dalla morte, una vita lunga e serena, il perdono dei peccati (cfr. 1Pt 4,8); l’elemosina non è un esercizio fisico ma quella sincera apertura agli altri, vissuta nell'ottica della gratuità, che cambia prima di tutto la nostra esistenza. 
Il v. 7 stabilisce un parallelo antitetico tra “il segreto del re”, che deve essere tenuto nascosto, e le opere di Dio, che vanno fatte conoscere agli uomini. Siamo già sulla strada che porterà a riconoscere “i misteri del regno dei cieli” svelati agli uomini da Gesù (Mt 13,11), ov­vero il progetto di Dio sul mondo che i credenti sono invitati a scoprire e annunziare agli uomini.
La novella di Tobia ha come argomento la provvidenza di Dio per gli Israeliti nell'esilio. In primo piano ci sta l'esortazione alla preghiera e alle elemosine ricordando quanto dice in 4,16: "non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te". Ritroviamo questa regola aurea nel NT come direttiva di Gesù (cfr. Mt 7,12 e par.) ripreso dall'apostolo Giacomo come "perfetta letizia" (cfr. Gc 1,2-4).
In questo capitolo è ben chiara la presenza ange­lica. Essa vuol farci capire che l’angelo ha un ruolo di mediazione; non ha un’attività autonoma, ma è il segno, per l’uomo, di una presenza reale di Dio. Una presenza molto discreta, che si rivela poco alla volta fino al compimento.
Il v. 15 può rivelarsi come un incentivo a rivedere il nostro quotidiano spesso riempito di solitudine e amarezza. Un abisso di amarezza che non è stato risparmiato neppure a Gesù che, nell'ora della suprema offerta ha gridato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Sal 22; cfr. Mt 27,46; Mc 15,34). Un grido scandaloso sulle labbra del Figlio, un grido che solleva il velo su tante situazioni limite che anche noi ci troviamo a vivere ma che si apre alla gloria.
Infatti, l'esperienza di Tobia, accompagnato da Raffaele insegna a non fermarsi all'epidermide di ciò che viviamo, ma a leggere oltre, per scoprire le impronte di quel Dio che comunque non abbandona mai.
S. Agostino ricorda: "Se senti vacillare la tua fede per la violenza della tempesta, calmati: Dio ti guarda. Se ogni ora che passa cade nel nulla senza più ritornare, calmati: Dio rimane. Se il tuo cuore è agitato e in preda alla tristezza, calmati: Dio perdona. Se la morte ti spaventa e temi il mistero e l'ombra del sonno notturno, calmati: Dio risveglia".


Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
* Riesco a cogliere nella mia vita, che tutto può concorre al bene e testimoniarlo agli altri?
* Riesco a guardare oltre l'orizzonte per vivere meglio le situazioni della vita?
* Come vivo le dimensioni della preghiera, del digiuno, dell'elemosina?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Lampada per i miei passi è la tua Parola,
luce sul mio cammino.
Ho giurato, e lo confermo,
di osservare i tuoi giusti giudizi.

Sono tanto umiliato, Signore;
dammi vita secondo la tua Parola.
Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.

La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
I malvagi mi hanno teso un tranello,
ma io non ho deviato dai tuoi precetti.

Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
perché sono essi la gioia del mio cuore.
Ho piegato il mio cuore a compiere i tuoi decreti,
in eterno, senza fine. (Sal 119).

Contemplare-agire L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Nella mia pausa interiore, ricerco i motivi di gioia e di speranza come dono di Dio e condivisione con gli altri.


immagine: https://it.wikiquote.org/wiki/Libro_di_Tobia