martedì 6 aprile 2010

MOSHEH



Invocare
Concedi, o Dio, di accostarci con umiltà e santo timore a questa Parola che ci supera infinitamente; a questa realtà che è mistero della tua presenza. Fa' che là dove la nostra mente non può arrivare giunga il nostro cuore mediante l'intuizione dell'amore e tutto il nostro essere taccia davanti a Te, Ti contempli e Ti adori. Amen.

lectio (Es 3,1-15)
3, [1] Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. [2] L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. [3] Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". [4] Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". [5] Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". [6] E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. [7] Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. [8] Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. [9] Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. [10] Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!". [11] Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?". [12] Rispose: "Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte". [13] Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". [14] Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi". [15] Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

Meditare
Il nome di Mosheh appare nella Bibbia ebraica 770 volte. Il suo nome sia in ebraico che in arabo viene spiegato a partire dalla radice mashah che significa estrarre, ritirare. Mosheh nasce in Egitto quando il popolo d’Israele era sottomesso alla schiavitù (Es 1,11) e correva il rischio di sparire come popolo. Per accellerare il processo di morte del popolo, ogni figlio nato maschio doveva morire (Es 1,16). Mosheh è salvato dalle acque dalla figlia del Faraone e, da schiavo che era, diventa come suo figlio (Es 2,1-10). Il nome egiziano che riceve il bimbo, probabilmente è teoforico come Tut-moses (= figlio di [nato da] Tut… di Ra).
Ma in Mosheh rimane viva la consapevolezza di essere ebreo e la schiavitù dei fratelli fa nascere in lui la solidarietà verso di loro (Es 2,11-12), ma è costretto a fuggire (Es 2,15).
Nel nome di Mosheh, secondo l’ebraico, letto da sinistra a destra, vi è l’anagramma del Nome ineffabile: Ha-Shem, che nel testo assume una nuova azione storico-salvifica di Dio: si dà un nome nuovo a chi ha un nuovo compito. Di solito si deriva da hajah (hawah = essere) quasi a dire che JHWH fa essere ciò che viene ad essere. In questo presentarsi di Dio abbiamo la chiamata di Mosheh.
I primi 6 versetti che narrano la chiamata di Mosheh, il libro del Deuteronomio ce le ricorda così: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosheh - lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia - per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese di Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosheh aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele». (Dt 34,10-12).
Questi versetti parlano di grandezza di un uomo per quanto ha fatto, ma la grandezza di Mosheh non consiste in questo, ma in ciò che gli è stato fatto: Dio lo chiama e gli parla confidandogli i suoi disegni sulla storia d’Israele e di tutta l’umanità. Ma come avviene questa chiamata?
La chiamata che Dio fa non ha pretese, non richiede luoghi o professioni particolari. Mosheh stava pascolando il gregge del suocero nel deserto (v. 1). Dio ci viene incontro dovunque ci troviamo e qualsiasi cosa facciamo, in particolare nel deserto della nostra esistenza. Ecco perché l’incontro si presenta nel triplice aspetto di straordinario, affascinante e misterioso:
1. straordinario: quel roveto non si consumava. (v. 2);
2. affascinante: Mosheh pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere” (v. 3);
3. misterioso: “Non avvicinarti! Mosheh allora si velò il viso” (vv. 5-6).
Anche nella nostra vita possiamo incontrare questo triplice aspetto della nostra fede che si fa incontro.
Mosheh vede qualcosa di straordinario che lo attrae: l’Angelo del Signore che appare in fiamme di fuoco in mezzo ad un roveto per dire, usando un linguaggio metaforico, che Dio, quando viene incontro all’uomo, sfugge alla sua presa e al suo possesso. È la straordinarietà di Dio che si fa sempre più affascinante e che ci fa avvicinare a Lui (v. 3), come fu per Giacobbe a Bethel (Gen 28,16-17) e come sarà per Giosuè presso Gerico (Gs 5,13-15).
In questa straordinarietà della vita ordinaria, Dio irrompe personalmente, si fa incontro bruciando di passione per la vita chiamandoci per nome.
Il chiamare di Dio è una missione perché la storia di ogni giorno ha un suo faraone e noi dobbiamo dare risposta all’Amore che provoca. «La storia umana - la tua storia come pure la storia di ogni ragazzo e ragazza - è incrociata dalla storia di Dio che è storia di compassione che si prende a cuore la sofferenza umana e associa ciascuno di noi in questa storia di liberazione e di amore» (Carmine Di Sante).
Mosheh fa l’incontro con il Dio della storia e in quel momento coniuga il passato con il presente, coniuga la fede con la vita, per questo Mosheh parlava faccia a faccia con Dio, inizia una nuova storia affascinante e misteriosa, anzi Dio vuole continuare la storia con Mosheh. È da notare che il dialogo con Mosheh si allarga al popolo al quale lo stesso Mosheh appartiene e che assilla il pensiero di Dio (v. 7). Questo pensiero fa’ “scendere” Dio, lo fa chinare all’altezza dell’uomo, ma ha bisogno di Mosheh per far “salire” da quella terra «verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele» (v. 8).
Nel cammino del popolo insieme a Mosheh, vi è il nostro cammino che parte dall’Alto (Dio) e che scende nella miseria del nostro niente (cfr. v. 7), per poi risalire di nuovo verso l’Alto (Dio). In questo cammino che si fa continuo incontro, Dio è presente (v. 12), cammina accanto a noi.
La nostra vocazione è diventare figli e morire a una logica della prassi mondana, far morire l’uomo vecchio e rinascere a nuova vita, alla logica del dono, del Regno ed è la rivelazione fatta a Mosheh e allo stesso tempo a tutto il popolo attraverso la nuova “carta d’identità” che Mosheh richiede e che si fa chiave di lettura per tutti: ‘Ehyeh ‘asher ‘ehyeh viene tradotta con Sarò chi sarò oppure Io sono chi sono.
L’Ebreo, il Semita hanno una diversa nozione del tempo, coniugano in due forme differenti a seconda che l’azione che descrivono sia compiuta o incompiuta. Il presente si esprime aggiungendo un pronome personale al nome. Quindi la “nuova carta d’identità” che da’ Dio deve dunque essere compresa al di fuori della nostra scala temporale, avendo nell’insieme passato, presente e futuro che possiamo tradurre così: «Io sarò sempre quello che sono». È la chiave di un mistero, del mistero dell’uomo dove il Nome ineffabile danza in quel roveto che continua bruciare.
Anche ‘ehyeh è come YHWH un Tetragramma che si scrive alla stessa maniera, che sommate vengono in tutto otto lettere per significare l’intero mistero della rivelazione fatta a Mosheh e, attraverso di lui a Israele e a tutta l’umanità. Otto lettere in cui è racchiusa la nuova creazione, la vita infatti «Dio non è Dio dei morti ma dei vivi» (Lc 20,38), ciò che da’ futuro, consistenza alla vita religiosa è vivere la logica della risurrezione, dove avviene uno scontro drastico tra il «Dio dei morti» e il «Dio dei vivi».
È la logica del Regno dove c’è vita, comunione, dove c’è attività, Dio è presente e ti fa sentire dentro di te quella voce che ti sussurra dolcemente: “Io sono e sarò sempre presente, sarò con te in ogni istante della tua vita e della tua vicenda, sarò con te oltre la morte e non ti farò mancare nulla di quello che ti ho promesso e ti ho dato con la vita. Basta che tu ti fidi di me e osservi fedelmente la mia Parola”.
Questo cammino di risurrezione, non è legato esclusivamente al Nuovo Testamento, ma a tutta la Rivelazione. Infatti, è un cammino fondamentale fin da quando Dio si manifestò come «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe» (Cfr. Es 3,6).
È un cammino di speranza fatto dai nostri padri nella fede. È un cammino di risurrezione e se Mosè chiama Dio in questo modo e perché quei grandi uomini hanno posto la loro speranza, la loro fiducia totalmente a Dio, ed ora sono con Lui e vivono con Lui e per mezzo di Lui e questo perché «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».
Da questo momento Dio non è più il comune ‘Elohim conosciuto dai patriarchi col nome di ‘El Shaddai (Es 6,3), l’El delle Montagne, Colui che basta a Se stesso diranno i rabbini, l’Onnipotente fonte di ogni fecondità.
L’ ‘Elohim è anche un altro (‘ehyeh) che si fa amore sulle strade della vita insieme a ciascuno di noi e questo va comunicato e tramandato a tutti (cfr. v.15), «Poiché chi più ama più osa» (San Gregorio Magno).

interrogarsi
1. Come vivi nella tua quotidianità il triplice aspetto di Dio: 1. straordinario; 2. affascinante; 3. misterioso?
2. Il triplice aspetto descritto, in una sola parola lo chiamiamo Amore: Sei convinto/a che è l’amore che libera da ogni schiavitù e che cambia il mondo?
3. Mosè, chiamato da Dio, impegna la sua vita per il popolo in situazione di schiavitù. La chiamata di Dio nella vita di ciascuno, è sempre per una missione e un servizio: si sta realizzando così anche nella tua vita?
4. C’è ancora un roveto che arde senza consumarsi: Sei pronto/a anche tu a scoprire che cos’è per poi partire come Mosheh?

preghiera
Signore era un giorno tra i tanti quando Mosè,
pascolando il gregge nel deserto fu sorpreso dalla Tua voce
con cui ti rivelavi come Dio della compassione e della tenerezza.
Fa' Signore che ancora oggi io possa ascoltare la tua rivelazione e, come Mosè, risponderti con il mio: "Eccomi" per essere capace di amare come tu ami.
Amen.

actio
Nel cammino della tua vita, medita e porta nel tuo quotidiano queste parole: Non temere… Io sono il Signore e camminerò con te.