venerdì 20 maggio 2011

DEBORAH

invocare
O Spirito di verità, che parlasti per bocca dei patriarchi e dei profeti, e riempisti le Sacre Scritture di celesti dottrine, di salutari precetti e di paterni ammonimenti, degnati di ritornare a parlarci affinchè la verità torni a regnare nel nostro cuore. Amen.

lectio (Gdc 4,4-9.14.16)
4, [4] In quel tempo era giudice in Israele una profetessa, Debora, moglie di Lappidot. [5] Essa sedeva sotto la palma che porta il suo nome, fra Rama e Betel, nella montagna di Efraim, e gli Israeliti salivano da lei per le loro vertenze giudiziarie. [6] Un giorno essa mandò a chiamare Barak, figlio di Abinoam, da Kedes di Neftali, e gli disse: «Il Signore, Dio di Israele, ti ordina di andare ad arruolare sul monte Tabor diecimila uomini delle tribù di Neftali e di Zabulon e di portarli con te. [7] Io attirerò verso di te, al torrente Kison, Sisara, comandante dell'esercito di Iabin, con i suoi carri e le sue truppe e lo metterò nelle tue mani».
[8] Barak le disse: «Se verrai con me, ci andrò, ma se tu non verrai con me, io non mi muoverò». [9] Rispose Debora: «Vengo senz'altro, solo che la gloria dell'impresa alla quale ti accingi non sarà tua, perché il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna». Poi Debora si mosse e andò a Kedes con Barak. [14] Disse allora Debora a Barak: «Alzati, perché questo è il giorno in cui il Signore metterà Sisara nelle tue mani. Il Signore non esce forse in campo davanti a te?». Barak scese dal monte Tabor e i suoi diecimila uomini lo seguirono. [16] Barak inseguì i carri da guerra e la fanteria fino a Caroset-Goim: tutto l'esercito di Sisara fu passato a fil di spada e non si salvò nessuno.


Il libro dei Giudici occupa il periodo che va dalla morte di Giosuè all’istituzione della monarchia in Israele (1200-1025 a.C.) e presenta fatti staccati e particolarmente importanti relativi ai dodici "giudici", fra questi Debora.
I "giudici" erano capi militari e politici che Dio suscitò in quel periodo per risolvere le crisi che il popolo di Israele viveva venendo a contatto con le popolazioni indigene e idolatre al momento del suo insediamento in Palestina.
Le storie sono narrate secondo un preciso modello letterario e teologico:
- "Israele pecca contro Dio".
- "Dio lo consegna nelle mani dei suoi nemici".
- "Gli israeliti piangono".
- "Dio manda un "giudice" a salvarli e liberarli".
- "La terra ha pace per un periodo più o meno lungo (di solito 40 anni)".
Lo scopo è quello di insegnare che le crisi e le difficoltà di Israele trovano il loro fondamento nella sua infedeltà a Dio, quando cede alle suggestioni dell'idolatria. Da queste crisi solo Dio, che ha pietà delle sofferenze del popolo, potrà liberarlo (Gdc 2,11-19). Debora è l'unica donna detta "giudice" ed agisce nel senso moderno del termine risolvendo le dispute che sorgevano tra il popolo.
La Bibbia ricorda anche il luogo dove emetteva le sue sentenze: sotto la palma di Debora tra Rama e Betel, sulle montagne di Efraim" (4,5). A Debora si affianca Giaele, un'altra eroina del libro, che ucciderà Sisara, capo dell'esercito nemico.
La storia è ripetuta nei capitoli 4 e 5, nel primo in forma narrativa, nel secondo in forma poetica, dove la poesia raggiunge il suo apice nel "canto di Debora" che probabilmente, secondo l'opinione comune degli studiosi, è la più antica composizione della Bibbia.
Quale pro-vocazione troverà la nostra lectio? Ritrovare fiducia nel Signore, di ritrovare quel dia-Logos, quel credere che il Cristo, il Logos fattosi carne, costituisce il ponte di comunicazione profonda tra Dio e l’umanità peccatrice e l’umanità tra loro.
Il brano ci richiama spontaneamente alla creazione della donna descritta dalla riflessione sapienziale del Genesi: «Non è bene che l’uomo sia solo. Gli farò un aiuto, adatto a lui» (Gen 2,18).
Fin da questa citazione, l’uomo e la donna appaiono come unità dei due, che porta quella capacità di esprimere l’amore, quell’amore nel quale si diventa dono, attuando il senso stesso del suo esistere reciprocamente l’uno per l’altro. Infatti, il primo passo da compiere nella nostra vita ordinaria è quello di affidarsi alle mani, alle braccia, all’ascolto dell’altro. La fede prima di essere un atto religioso, è un atto umano della persona. Tutti in qualche modo crediamo a qualcosa e ci affidiamo a qualcuno o mettiamo fiducia in qualcuno, tutti in qualche modo veniamo cercati come persone cui potersi affidare perché ritenuti affidabili. Questo significa che da soli non siamo sufficienti a noi stessi. Ci sarà sempre un Pietro che dirà: «Signore, dove andremo senza di te. Tu solo hai parole che danno la vita eterna» (Gv 6,68) o Gesù che ripeterà al nostro cuore: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).
Abbiamo letto che Debora esercita il suo ruolo sotto una palma (v.5). La palma è un simbolo molto importante per la vita di chi confida nel Signore. Essa, nella sua simbologia, ricorda ciò che è elevato, ciò che è sublime e come non ricordare qui la sapienza divina «cresciuta come una palma in Engaddi» (Sir 24,14); o del Giusto che «fiorirà come palma», e vivendo all’ombra di essa porterà i suoi frutti (Sal 92,13).
La Palma che è sopra Debora, la tradizione cristiana l’ha voluta tradurre dall’ebraico con la parola greca phoinix, che è il nome greco della palma, ma allo stesso tempo è il nome dell’uccello che chiamiamo fenice. La fenice è il simbolo dell’immortalità, perché si immaginava che quell’uccello rinascesse dalle sue ceneri.
Anche noi, cristiani di oggi, facciamo quest’esperienza, partecipando alla morte di Cristo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4).
Debora si presenta come la figura del giusto, tratteggiata come in un dipinto vasto e denso di colori a differenza dell’empio che viene visto come l’erba dei campi, ma effimera. Il giusto si erge verso il cielo, solido e maestoso come la palma e il cedro del Libano.
Questo significa che il giusto, Debora, anzitutto si riconosce persona e in quanto tale è un “essere in relazione”. Infatti, ha una relazione con la casa del Signore e quindi con Lui. Di lei il sapiente scrive: «I giusti si esprimono con saggezza e parlano sempre con onestà: hanno nel cuore la parola del loro Dio, il loro cammino non sarà mai incerto» (Sal 37, 30-31).
Nel Signore Debora ha riposto la fiducia e in Lui ha stabilito la sua dimora. Questa donna ha descritto questa fiducia in Dio cercando il senso perduto. All’umanità sfinita, distrutta, senza speranza, che ogni giorno dice: “La mia vita è giunta all’estremo, provo disgusto per la mia esistenza, è insipida, senza sale e significato…” (S. Kierkegaard), Debora si fa per questi il sale della vita, perché «se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13).
Debora è colei che ha ridato sapore alla vita del credente ridando sapore alla vita e come un’ape vola verso i “nuovi orizzonti”, dimostrando che Dio ha bisogno dell’umanità e così viceversa.
Anche noi dobbiamo essere come un’ape che rientra all’arnia con i cestelli stracolmi di polline di vari colori, di varie specie di fiori. E nel ventre di questi laboriosi insetti, nettare di fiori diversi. Eppure il diverso polline, il vario nettare nulla tolgono al gustoso miele che riempie il favo: la diversità concorre alla ricchezza. È l’impasto che questi insetti danno alla varietà di polline e di nettare dentro il loro corpo che fa del diverso e del vario, un cibo gustoso come il miele, chiamando ciascuno all’incontro con Lui per richiamarlo all’amicizia e alla scoperta di un percorso da compiere.
Questo percorso è descritto nei vv. 6-7 ricordando, anzitutto, chi è Dio nella nostra vita. Egli dal buio della notte al chiarore del mattino, fino alla luce del giorno si rivela, nel cammino della vita, come «La luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
Debora colma di questa “Luce” invita e richiama Barak a fare quest’incontro col Signore sul Tabor, come Pietro Giacomo e Giovanni, dopo aver ascoltato le condizioni per seguire Cristo Gesù, furono invitati a salire su un alto monte – il Tabor – perché quest’incontro avvenisse in tutta purezza, trasparenza (Cfr. Mt 17,1-8)
Per fare quest’incontro, la Parola di Dio ti mette in movimento verso il monte: è una “anagogia ministeriale” che avviene in quanto, trasportati verso l’alto, la Parola diventa sfondo glorioso, luminoso che rende capaci alla lettura sapienziale delle cose. Il monte è il luogo dove avviene la lettura sapienziale delle cose, richiamando la solitudine del Sinai dove Ezechiele dice che Israele era “nell’età dell’amore” (Ez 16,8). Il monte, quindi è un luogo per innamorati. Intimo, lontano dagli sguardi. Esso richiama anche l’Oreb dove Elia viene sfamato e dissetato mentre vede il volto di Dio dopo i penosi quaranta giorni di deserto (1Re 19,8.11). Debora ripete a tutti su questo monte: «Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto» (Sal 66, 16).
Il monte, ancora, è il luogo della sazietà spirituale: “un banchetto preparerà Dio su questo monte” (Is 25,6).
Guardando e leggendo attentamente la Parola di Dio, troveremo il percorso salvifico che Dio stesso ha tracciato, con la sua Parola, nel cammino esodale di Israele «Travolgendo il faraone e il suo esercito nel mar Rosso» (Sal 136, 15), «e mentre il tuo popolo intraprendeva un viaggio straordinario essi incorressero in una morte singolare» (Sap 19,5), oggi traccia il nostro cammino.
Ma quanta fatica facciamo a vedere questo cammino! Camminare significa aprire strade invisibili, significa avanzare portando nel cuore il mistero di una presenza e abbracciarla. Significa insieme all’Apostolo Pietro «Rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15), cioè esercitare un apostolato o una missione richiesti dalla stessa essenza dell’essere cristiano, perché il cristiano è un dono per l’altro, se no non è cristiano.

interrogarsi
1. Quale ricerca di senso nella mia vita ordinaria?
2. “Volo” anch’io come Debora, per superare i vari confini che chiudono il mio essere cristiano/a?
3. Mi faccio mettere in movimento dalla Parola, per testimoniare il mio battesimo nella Chiesa e per la Chiesa?
4. Nel mio quartiere, a scuola, nelle amicizie sono capace di dare sapore alla vita?

preghiera
Acclamate a Dio da tutta la terra,
cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
Dite a Dio: “Stupende sono le tue opere!
A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome”.
Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia:
con la sua forza domina in eterno.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia (Salmo 66).

actio
Cerca con umiltà di cuore mediante un’assidua lettura della Bibbia, la verità che scaturisce da essa e abbracciala per la vita