venerdì 20 maggio 2011

EZECHIELE

invocare
Vieni, Spirito Santo! Vincolo dell’amore eterno vieni Tu ad unirci nella pace: riconciliaci con Dio, rinnovaci nell’intimo, fa’ di noi verso tutti i testimoni e gli operatori dell’unità che viene dall’alto. Tu che sei l’estasi del Dio vivente, dono perfetto dell’Amante e dell’Amato nel loro amore creatore e redentore, vieni Tu ad aprirci alle sorprese dell’Eterno, anticipando in noi, poveri e pellegrini, la gloria della patria, intravista ma non posseduta.




lectio (Ez 1,1-3.2,1-3,4.10.14-16)
1, 1 Il cinque del quarto mese dell’anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine. 2 Il cinque del mese - era l’anno quinto della deportazione del re Ioiachìn - 3 la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il canale Chebàr. Qui fu sopra di lui la mano del Signore.
2, 1 Mi disse: “Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio parlare”. 2 Ciò detto, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. 3 Mi disse: “Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. 4 Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio. 5 Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genìa di ribelli - sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. 6 Ma tu, figlio dell’uomo non li temere, non aver paura delle loro parole; saranno per te come cardi e spine e ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce, sono una genìa di ribelli. 7 Tu riferirai loro le mie parole, ascoltino o no, perché sono una genìa di ribelli. 8 E tu, figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non esser ribelle come questa genìa di ribelli; apri la bocca e mangia ciò che io ti do”. 9 Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai.
3, 1 Mi disse: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi và e parla alla casa d’Israele”. 2 Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, 3 dicendomi: “Figlio dell’uomo, nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo”. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele. 4 Poi egli mi disse: “Figlio dell’uomo, và, recati dagli Israeliti e riferisci loro le mie parole. 10 Mi disse ancora: “Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi. 14 Uno spirito dunque mi sollevò e mi portò via; io ritornai triste e con l’animo eccitato, mentre la mano del Signore pesava su di me. 15 Giunsi dai deportati di Tel- Avìv, che abitano lungo il canale Chebàr, dove hanno preso dimora, e rimasi in mezzo a loro sette giorni come stordito. 16 Al termine di questi sette giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele.

Di famiglia sacerdotale (Cfr. 1,2-3), sacerdote egli stesso fin da giovane, Ezechiele è il terzo tra i profeti chiamati “Maggiori”, dopo Isaia e Geremia. Di quest’ultimo è contemporaneo.
Ezechiele, il cui nome in ebraico significa: “Dio conceda forza”, lo troviamo tra i deportati in Babilonia nel primo assedio di Gerusalemme, nel 597 a.C., ad opera del re Nabucodonosor.
La sua chiamata inaugurale avvenne con una grandiosa visione nel 593. Mentre stava in preghiera, scorge di trovarsi di fronte ad una teofania (Ez 1,21) e circondato dal suo splendore (kabôd).
Nei Salmi JHWH è descritto come colui che «è assiso sui cherubini» (Sal 80,2; 99,1), che vola sulle ali del vento (Sal 18,11), preceduto da folgori, nembi di tempesta (Sal 29,10; 18,12s). Questa manifestazione divina avviene in un momento preciso della storia del popolo e soprattutto nella vita di Ezechiele: «lI cinque del mese dell’anno trentesimo» (1,1) che sta ad indicare, con tutta probabilità, l’età del profeta.
La visione inaugurale, datata al «cinque del mese - era l’anno quinto della deportazione del re Ioiachìn» (1,2), indica l’inizio dell’attività profetica. E in quell’anno il Signore si è rivelato a Ezechiele (Cfr. Ger 1,1; Os 1,1; Gl 1,1; Gn 1,1; Sof 1,1; Ag 1,1; Zac 1,1), per fare di lui un profeta e far risuonare la Parola tra gli esiliati (1,3).
Anche nella nostra vita c’è un tempo particolare in cui Dio vuole comunicarci qualcosa, far risuonare nella vita ordinaria la sua Parola.
L’espressione «I cieli si aprirono» (1,2) è tipica delle teofanie. È il segno che Dio viene verso il suo popolo per prestare ad esso il suo soccorso e liberarlo dai nemici (Cfr. Is 63,19-64,1). Questa liberazione la vediamo in maniera completa e definitiva in Gesù di Nazareth.
La vocazione di Ezechiele, come di qualsiasi altra persona designata al servizio divino, avviene in modo graduale fin quando «La mano del Signore fu sopra di lui» (Ez 1,3. Cfr. Nm 24,2; Gdc 3,10; 1Sam 16,13; Is 42,1; Mt 12,18).
Cosa significa questo per un cammino spirituale? Anzitutto è da tenere presente il luogo dove avviene la chiamata per Ezechiele «Nel paese dei Caldei…» (1,3), cioè in Terra straniera. Questo sta ad indicare che il Dio di Israele non è un Dio confinato nei limiti di una tribù, di una nazione o di un altare. Egli è Colui che estende la sua Sovranità ovunque, capace di ricondurre a Lui ogni persona ovunque si trovi. Ed è ovunque ci si trova che bisogna “mangiare ciò che abbiamo davanti, il rotolo, per partire e parlare a tutti” (Cfr. 3,1). È un cammino interiore, fatto d’ascolto, meditazione, ruminazione e la preghiera della Parola di Dio avviene, come per il pio ebreo, come una “mormorazione” della Parola fino ad un’assimilazione completa della Scrittura. Infatti, «La radice della fede biblica sta nell’ascolto, attività vitale, ma anche esigente. Perché ascoltare significa lasciarsi trasformare a poco a poco, fino a essere condotti su strade spesso diverse da quelle che avremmo potuto immaginare chiudendoci in noi stessi… Da qui la tentazione di non aprirgli [a Gesù] la porta, di lasciarlo fuori della nostra esistenza reale. La storia del peccato, infatti, è sempre radicata nella storia del non ascolto…» (CEI, Comunicare il vangelo…, 29 giugno 2001, 13).
Anche il profeta Geremia ricorda questa esperienza fin dai primi tempi della sua vocazione profetica: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16).
In questa situazione la Parola divina si presenta sempre salutare e «dà a chi l’osserva la vita» (Ez 20,21) e anche se disattesa, gioverà a far capire che Dio, attraverso i suoi messaggeri, sta in mezzo al suo popolo per illuminarlo e dirigerlo in attesa di “piantare la tenda” per sempre (Cfr. Gv 1,14).
Per fare questo cammino, la lectio ci suggerisce che bisogna “aprire la bocca e mangiare”. È un movimento biblico, ma che ha stretto rapporto con questo imperativo: «ascolta ciò che ti dico» (2,8), un modo per manifestare pubblicamente l’obbedienza alla parola di JHWH.
Il neo-eletto quindi non si scoraggi dell’incomprensione che incontrerà. Anzi ogni giorno «Getta nel Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno, mai permetterà che il giusto vacilli» (Sal 54,23). Sono parole che incoraggiano ogni cammino vocazionale, ogni esistenza. È un sentirsi dentro e fuori «non temere» (Cfr. 2,6; 3,9). È un trovare in Lui un eloquente esempio di fedeltà vocazionale, una riscoperta del battesimo in parallelo al mandato riscoprendo «Le cose di lassù» (Col 3,1), lasciandosi guidare dallo Spirito “senza preoccuparsi per quello che bisogna dire” (Mt 10,19; Mc 13,11; Lc 21,14-15; Lc 12,11). Facendo così, sarà solidale con Colui che lo mandato: «Non vogliono ascoltar te, perché non vogliono ascoltar me» (Ez 3,7).
In queste parole vi è una ribellione del popolo (2,4-6) a cui il chiamato deve intervenire con tranquillità sicuro perché sarà invincibilmente assistito dalla potenza divina e fatto partecipe del suo piano di salvezza.
Cosa succede a livello vocazionale nella vita di questo grande profeta non è facile descriverlo, in quanto nei Testi vi sono ritocchi e dettagli aggiunti dai suoi discepoli. Egli stesso ripete più volte per noi queste parole: “qualcosa come…qualcosa che rassomiglia a…” (Cfr. Ez 8,2; 10,1.21), cioè immagini varie e tradizionali con cui cerca di esprimere qualcosa della sua esperienza di Dio. Ma di Ezechiele, come per Isaia e Geremia, diciamo che egli è chiamato al servizio della Parola di Dio e ne è cosciente.
Ezechiele riconosce che, in un primo momento, nella sua bocca sentì il gusto di essere inviato – anche Geremia avvertì la stessa sensazione – di essere il portavoce di JHWH, il suo ministro.
L’esperienza è graduale, è il primo zuccherino che Dio passa per preparare coloro dai quali esigerà molto. Dirà Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
La Parola di Dio non solo fa alzare Ezechiele (2,1), ma lo rende amico del popolo: capace di ascoltare, di agire e di trasmettere - al popolo disperso in Babilonia - ciò che ascolta.
Questa stessa esperienza insegna a fare proprio il contenuto di quanto ascoltiamo, la Parola di JHWH, per poi essere mandati alla “casa di Israele”, cioè a tutto il popolo di Dio, per instaurare una relazione nuova tra sé e i deportati, per instaurare un patto d’amicizia, d’amore per sempre, per consacrarli nella verità (Gv 17,7).

interrogarsi
1. Ricordi qualche momento della tua vita in cui Dio si è manifestato per la prima volta?
2. Ti apri agli altri, affidandoti all’ascolto e alla comprensione degli altri?
3. Dopo l’ascolto della Parola, come comprometti la tua vita nell’ascolto?
4. Quale obbedienza pubblica manifesti alla Parola di JHWH?

preghiera
Padre, non sappiamo più ascoltare; Padre, nessuno più ascolta nessuno: nessuno sa fare silenzio! Abbiamo perso il senso della contemplazione, perciò siamo così soli e vuoti, così rumorosi e insensati; e inevitabilmente idolatri!
Anche quando l’angoscia ci assale donaci, o Padre, di non dubitare; o anche di dubitare, ma insieme di sempre più credere: di credere alla tua fedeltà e al tuo amore al di là di tutte le apparenze; e con il tuo Spirito, sempre presente nella nostra storia (David Maria Turoldo).

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